Le Terme Romane (approfondimento)

[Continua da: Parte 1: Le Terme Romane, il ritrovamento]

Le terme romane di Histonium sono formate da una serie di ambienti disposti su tre livelli terrazzati, che seguono la naturale discesa del pendio dalla chiesa di Sant’Antonio alla chiesa della Madonna delle Grazie. Un corridoio longitudinale a due livelli collegava tra loro i vari ambienti. Le dimensioni e la posizione all’interno della città romana fanno supporre che l’impianto fosse di pubblica fruizione, pur non presentando la simmetria che solitamente contraddistingue gli edifici termali coevi e che permette percorsi differenziati per uomini e donne all’interno delle sale. Nonostante le manomissioni subite in passato, l’impianto ha conservato molti elementi della sua struttura originaria, che permettono di individuare tredici ambienti. Sul livello più alto, adiacente alla chiesa di Sant’Antonio, si trova un vano che presentava una pavimentazione a mosaico di cui sono stati rinvenuti solo alcuni lacerti. Altri resti sono probabilmente sepolti sotto la chiesa e sotto la vicina via Adriatica. 

[nella foto in alto: Panoramica dell’area delle Terme in una foto dei primi anni ’70. Sullo sfondo, la chiesa della Madonna delle Grazie. Immagine tratta da A. R. Staffa, Dall’antica Histonium al Castello del Vasto, Fasano di Brindisi: Schena Editore, 1995]

Ad una quota leggermente inferiore vi sono le due grandi aule che insieme costituiscono il corpo centrale dell’impianto. Le aule, circondate dagli altri ambienti, erano forse divise in origine da un colonnato. Di una si conservano soltanto alcune fondazioni in laterizio dei muri perimetrali; l’altra è caratterizzata da un esteso pavimento a mosaico in buone condizioni di conservazione, che prende il nome di mosaico del Nettuno.

Tale mosaico, di dimensioni eccezionali (circa 170 mq, 13,50 per 12,60 m), è venuto alla luce solo nel 1997, durante i lavori di sistemazione dell’intera area. Non è stato possibile portarlo alla luce completamente, poiché una parte è ubicata sotto la sagrestia della chiesa di Sant’Antonio. Presenta un’articolata decorazione costituita da un intreccio di elementi vegetali stilizzati, che definiscono un campo centrale a forma di quadrifoglio, in cui spicca la maestosa figura del Nettuno stante con il tridente. Negli altri dodici campi a quadrifoglio sono raffigurati Tritoni e Nereidi sul dorso di draghi e cavalli marini. Tre campi si presentano purtroppo illeggibili, in quanto danneggiati da scavi ottocenteschi relativi alla sistemazione dell’edificio della Sottointendenza Borbonica, allora insistente sull’area.

[Nella foto a destra: Schema compositivo del mosaico con scene marine. Immagine tratta da A. R. Staffa, Dall’antica Histonium al Castello del Vasto, Fasano di Brindisi: Schena Editore, 1995]

Dall’aula con mosaico si accede ad un lungo corridoio e ad un altro vano, la cui pavimentazione è costituita da marmi e frammenti architettonici di reimpiego.

Ad una quota leggermente inferiore, sul lato limitrofo a via Adriatica, vi sono quattro ambienti contraddistinti da muri e pavimentazione in laterizio, in origine destinati ad essere riscaldati. Sono presenti, infatti, alcuni resti delle cosiddette pilae, strutture in mattoni che sorreggevano un pavimento sospeso (suspensura). Si creava in questo modo un’intercapedine (hypocaustum) in cui circolava aria calda proveniente da grandi forni (praefurni) che dovevano trovarsi al di sotto dell’odierna via Adriatica.

Attualmente uno di questi ambienti costituisce il punto d’accesso per i visitatori e si presenta come una piazzola circolare. Qui, infatti, era collocata una grande cisterna circolare per l’approvvigionamento del convento di San Francesco, costruito in corrispondenza dell’impianto termale nel XIII secolo.

Proseguendo verso est, troviamo due piccoli vani, forse in origine adibiti a spogliatoi (apodyteria); vi è poi una grande piscina (natatio) ed un altro ambiente con pavimento a mosaico. Tale mosaico (circa 31,5 mq, 7 per 4,5 m), rinvenuto nel 1828 e poi riscoperto nel 1973, fu staccato dall’originaria collocazione, suddiviso in 17 pezzi e abbandonato a lungo in un deposito. Subì in seguito un cattivo restauro per poi essere collocato in una sala del Museo Archeologico di Vasto. In occasione della campagna di scavi del 1994-1997, il mosaico è stato integralmente restaurato e deposto nuovamente nel luogo di origine. La decorazione presenta croci ed ellissi, all’interno delle quali sono raffigurati vari tipi di pesci. Uno dei lati corti del mosaico termina con un campo rettangolare decorato con una tigre marina affiancata da due pesci o delfini.

Entrambi i mosaici sono caratterizzati dall’uso di un elegante bicromatismo, che determina un particolare effetto chiaroscurale, reso dall’inserimento di tessere bianche all’interno dei disegni in nero e dall’utilizzo di tessere color avorio, presenti in numerose pavimentazioni africane ma quasi sconosciute in Italia. Questi elementi fanno supporre che i mosaici siano stati realizzati da maestranze non italiane, presenti a Histonium nella prima metà del II secolo d.C. grazie all’iniziativa di committenti ricchi e potenti. Nel tentativo di identificare questa autorevole committenza, segnaliamo tra le nobili famiglie istoniensi la gens degli Hosidii Getae, assurta ai più alti gradi dell’impero romano. All’evergetismo di questa famiglia pare possibile attribuire la costruzione di diversi edifici e la sistemazione delle strutture idriche della città.

[Nella foto a sinistra; Nettuno: particolare del mosaico rinvenuto nel 1997. Immagine tratta da A. R. Staffa (a cura di), Guida al Museo Archeologico di Vasto, Mosciano Sant’Angelo: Media Edizioni, 1998]

I restanti ambienti risultano meno conservati, ma le strutture superstiti rivelano la presenza di un praefurnium per il riscaldamento dei vani e di una seconda vasca. Purtroppo la planimetria generale dell’impianto e le funzioni delle singole parti non sono di facile ricostruzione, a causa dello stato di conservazione lacunoso.

Gli scavi hanno rilevato la presenza di un canale fognario per lo scarico delle acque; non sappiamo, invece, come avvenisse l’approvvigionamento idrico dell’impianto. Lo storico Luigi Marchesani riferisce, nella sua Storia di Vasto, della presenza di cloache e sorgenti nei dintorni delle terme.

I più certi luoghi, ne’ quali la città dispiegavasi, sono per Madonna delle Grazie e pe’ giardini sottostanti alle mura delle Lame sino al prossimo lido. Indizii assicuratissimi ne danno nella prima contrada (oltre a’ molti avanzi di mura reticolate, di pavimenti e di cloache, i quali ne’ passati tempi vi si dissotterrarono, e tuttodì vi si scoprono) una cloaca, un pavimento musaico e poche altre cose.

Mia deferenza alla parole di stimabile antiquario (D. Romanelli, ndr), il quale vide cloache ed acquidotti presso Madonna delle Grazie, mi indusse a denominar cloaca il sotterraneo cammino disteso dal Belvedere di Portanova alla mentovata chiesolina: …

Forse un dì i terreni delle Lame s’innalzavano al livello della città, dalle di cui mura erano recinti: in vero, benché il volgo vastese attacchi alla parola Lama l’idea di dirupo, in toscano dire ella equivale a pianura. La facilità d’incontrare quivi sotterranee sorgenti di acque potabili e salmastre respigne a’ Longobardi tempi e la dizione Lama, cioè Piscina, e l’appellazione della contrada.

Il grande terremoto che interessò la provincia del Sannio nel 346 d.C. ed il sopraggiungere della crisi che colpì il mondo romano determinarono il progressivo abbandono delle aree marginali della città, compresa l’area delle terme. Il rinvenimento a nord-est del complesso termale di un esteso livello di crollo contenente mattoni, tegole e frammenti di marmo parrebbe connesso al definitivo abbandono dell’impianto e dei suoi annessi, inquadrabile tra V e VI secolo d.C. L’interro di circa2 metriche ricopriva la zona sembrerebbe testimoniare un periodo di oblio seguito all’abbandono.

Nella prima metà del XIII secolo venne costruito sull’area delle terme il convento di San Francesco d’Assisi. Dell’antico convento è rimasta solamente la chiesa, poi intitolata a Sant’Antonio da Padova. Il materiale lapideo presente nel portale della chiesa denuncia l’utilizzo di elementi di epoca romana. Secondo la tradizione, il convento fu fondato al tempo di San Francesco, o addirittura ad opera del Santo stesso. Lo storico Luigi Marchesani scrive:

Si conghietturò che surto fosse questo Cenobio in tempo di S. Francesco, il qual morì nel 1226: quello si trova tra i Conventi edificati dallo stesso Santo, de’ quali nel 1241 fecesi la ripartizione in Provincie e Custodie. Come dir soleano questi Minori Conventuali, la primitiva Chiesa denominavasi S. Croce e si ravvisavano i vestigii delle di lei mura nella Cantina.

Stando a ciò che il Marchesani riferisce, esisteva quindi una “primitiva Chiesa” intitolata alla Santa Croce. Già nel Settecento lo storico Giuseppe de Benedictis ne era a conoscenza:

Nella cantina del Convento si vedono muraglie antiche, che da vecchi Padri del medesimo si è inteso, che quelle erano della prima Chiesa sotto titolo di S. Croce.

[Nella foto a destra: 1956: facciata della chiesa di Sant’Antonio. Sullo sfondo, alcune costruzioni gravemente danneggiate dalla frana e insistenti sull’area delle Terme romane. Immagine tratta da A. R. Staffa, Dall’antica Histonium al Castello del Vasto, Fasano di Brindisi: Schena Editore, 1995]

Gli scavi del 1994, che hanno portato alla luce anche alcuni resti della chiesa paleocristiana di Santa Croce, inducono a collocare la data di fondazione di tale chiesa tra il V ed il VI secolo d.C.

Dopo la soppressione nel 1809 degli ordini religiosi possidenti, il convento fu adibito fino alla frana del1956 avari usi pubblici, come riferito dagli storici Luigi Marchesani e Vittorio D’Anelli:

Servì costantemente dal1811 inpoi il chiostro di S. Antonio ad alloggio e ad uffizio del Sottintendente, uso, che dal placito del Sovrano fu corroborato nel 1817: indi circa gli anni 1829 il settentrional lato del chiostro fu trasmutato in palazzino ad un sol piano, con facciata e portone di bel disegno riguardanti la nuova strada della marina; demolito il tratto di muraglia urbana, che dalla chiesa al vicino Spedale si stendeva: construtta carrozzabile via fra ‘l portone e la strada della marina; sollevato il terreno in larghi pianerotti, i quali fanno spalletta a quella trasversale breve via. 

Nel 1811, nel riordinamento del Regno secondo la schema francese, re Gioacchino Murat eleva il Vasto a sede di una Sottointendenza, assegnando ad alloggio ed ufficio del Sottointendente parte del chiostro dei Conventuali a S. Antonio. Tali locali, abbattuti e ricostruiti nel1829 apalazzina di stile neoclassico, vennero, dopo il 1927, occupati dall’Istituto Tecnico Commerciale e, in conseguenza della frana, sono stati da poco completamente demoliti. 

Oggi l’area archeologica delle Terme romane di Histonium è aperta al pubblico, ma non in maniera regolare e continuativa. Una parte del complesso è stata adeguatamente coperta al fine di evitare l’aggressione da parte degli agenti atmosferici. La manutenzione, tuttavia, non viene effettuata regolarmente e ciò comporta un grave rischio per la corretta conservazione dei resti.

Già da diversi anni esiste un progetto che intende collegare le terme con la passeggiata archeologico-panoramica di via Adriatica valorizzando tutte le strutture presenti. Ad oggi, purtroppo, il progetto non risulta portato a termine e ciò impedisce la corretta fruizione del patrimonio archeologico da parte dei turisti e degli stessi vastesi.

a cura di Francesca D’Annunzio per Vasteggiando (riproduzione riservata)